Alcuni contribuenti possono smettere di lavorare in anticipo grazie alla pensione d’inabilità. A chi spetta questo sostegno economico?
I soggetti affetti da gravi patologie hanno diritto a una serie di benefici economici, fiscali e lavorativi. Tra questi, particolarmente rilevante è la cd. pensione d’inabilità lavorativa (o pensione ordinaria d’inabilità), una prestazione economica erogata mensilmente a coloro che sono completamente incapaci di lavorare a causa di una malattia o un difetto fisico oppure mentale.
Si tratta di un assegno riconosciuto dall’INPS ai soggetti che ne fanno richiesta e che possiedono specifici requisiti. Vediamo quali sono.
Pensione d’inabilità lavorativa: a chi spetta e a quanto ammonta?
La pensione d’inabilità lavorativa è versata ai lavoratori autonomi e dipendenti (pubblici o privati) a cui è stata riconosciuta l’assoluta e permanente impossibilità a prestare alcuna tipologia di attività lavorativa.
L’accertamento di tale condizione spetta a un’apposita Commissione medica. Oltre al requisito sanitario, però, è richiesto anche un presupposto contributivo. I beneficiari, infatti, devono possedere almeno 5 anni di contribuzione, dei quali almeno 3 nel quinquennio antecedente la presentazione della domanda di pensione.
A tal fine, è utile ogni tipologia di contributi (obbligatori, figurativi, volontari, da riscatto, da ricongiunzione). La pensione d’inabilità lavorativa, inoltre, è incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa e con i trattamenti di disoccupazione o di integrazione alla retribuzione.
I beneficiari del sussidio possono essere chiamati a visita di revisione dall’INPS, per accertare che lo stato di inabilità inizialmente riconosciuto permanga. Se la verifica ha esito negativo, l’interessato può, entro sei mesi, presentare ricorso al Tribunale.
L’ammontare della pensione viene stabilito in base alla contribuzione accreditata, seguendo le regole del sistema di calcolo misto oppure contributivo (se il titolare ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995). È prevista la possibilità di incrementare l’anzianità contributiva entro un massimo di 2.080 contributi settimanali, in base al numero di settimane che ci sono tra la decorrenza dell’assegno pensionistico e il raggiungimento del 60° anno di età.
È opportuno chiarire, infine, che la pensione ordinaria di inabilità non va scambiata con la pensione per gli invalidi civili totali. Quest’ultima prestazione, infatti, non prevede l’obbligo di interruzione dell’attività lavorativa.
La prestazione riservata agli invalidi totali, poi, ha un importo fisso, pari a circa 300 euro al mese, e non è vincolata al possesso di una specifica anzianità contributiva ma di un requisito reddituale. Il richiedente, infatti, deve possedere un reddito inferiore a 18 mila euro. La pensione per gli invalidi civili totali, infine, non è reversibile ai familiari superstiti nel caso di morte del contribuente, a differenza della pensione d’inabilità lavorativa.